L’ennesimo capitolo di quella che ormai si annuncia come una saga conferma e ribadisce che a Trapani c’è davvero qualcosa che non va, che non può essere ridotta allo scontro tra il presidente Valerio Antonini e l’amministrazione comunale – come si dice, nella persona del sindaco Giacomo Tranchida – perché va ben oltre. L’ultimo oggetto del contendere è la convenzione, firmata dal Comune e da una società dilettantistica, perchè gli Shark giocavano in A2 e così si fa in quel campionato. Una convenzione viene definita secondo norme di legge ed a determinate condizioni. Se nel frattempo le norme vengono superate ed anche le condizioni: gli Shark sono stati promossi in A1 ed hanno obbligatoriamente dovuto cambiare ragione sociale e trasformarsi in una società a responsabilità limitata, è evidente che è necessario tornare alla convenzione e seguire le nuove procedure per ridefinire la convenzione. In una città ormai incattivita e dilaniata si tratta di argomento più che mai utile per produrre scontri, accuse e controaccuse, minacce di denunce, denunce e quant’altro. Una città che non aspetta altro che vedere il nuovo round tra il sindaco e l’imprenditore romano va a nozze con la nuova vertenza convenzione. La questione è meno ingarbugliata di quanto possa sembrare. Basterebbe seguire le leggi per tracciare il nuovo percorso, perché di sicuro, andando oltre tifoserie, eventuali vincitori e vinti, sarà indispensabile cambiare qualcosa dal punto di vista tecnico. Con quali ripercussioni sui tempi sportivi? Questo è un altro capitolo. Del resto c’è un tavolo tecnico che lavora da settimane. Da una parte i tecnici ed i dirigenti del Comune, dall’altra lo staff del presidente. Sorge spontanea una domanda: a quale tavolo tecnico, per dirimere la vertenza, fa riferimento l’onorevole Dario Safina, visto che il tavolo c’è già. Se poi il tavolo si è trasformato in arena e le trattative in corso sono più complicate di quelle tra Trump e Putin non è un problema del tavolo in questione ma dei suoi protagonisti. Come andrà a finire lo scopriremo solo vivendo. Ma c’è un elemento che emerge con forza e che finisce per essere il vero nodo che non potrà sciogliersi. In questa storia c’è un limite che è stato superato e che sta drogando il dibattito successivo. E’ la commistione tra rapporti privati e pubblici. Le procedure, gli atti, le verifiche sono state piegati agli umori del momento, alla relazioni del momento. In sintesi: Giacomo Tranchida – e chi per lui – ha dimenticato di essere il sindaco di Trapani quando ha affrontato le questioni che ora sono al centro delle polemiche. Ha agito da Giacomo Tranchida, vero, presunto, possibile amico di Valerio Antonini. Sul vero, presunto e possibile, se la vedano loro. Dicano loro quali erano i loro rapporti. Anche perché i trapanesi hanno ormai dato allo scontro le movenze della telenovela e sono sempre più ansiosi della nuova puntata. Tranchida non poteva permettersi di affrontare le ipotesi di sviluppo e quant’altro, senza, simbolicamente parlando, la fascia tricolore. Si tratta di un caposaldo della democrazia. Se ho un ruolo devo rispettarlo e soprattutto tutelarlo, non svilirlo e ridurlo alle dinamiche dei rapporti personali con un altro soggetto, chiunque esso sia. Se un sindaco chiede ad imprenditore d’intervenire su una criticità deve farlo in punta di diritto non chiedendo il “favore”. Soprattutto deve farlo in linea verticale. Mi spiego meglio: lui è il sindaco. L’altro è un privato cittadino. Lui è il rappresentante di un’istituzione che sviluppa interessi generali, l’altro è legittimamente ancorato ai suoi interessi. Non può dunque essere un rapporto di livello orizzontale. Un’amministrazione propone, presenta, programma, il privato può essere d’accordo, pronto a fare la sua parte, ma non può dettare condizioni. L’amico Tranchida e l’amico Antonini possono incontrarsi e stare quanto vogliono al bar. Il sindaco Tranchida ed il presidente Antonini devono seguire un altro percorso e procedere secondo canoni codificati. Quel che si dicono al bar non conta nulla. Quel che viene suggellato da atti e da scelte tecniche ed amministrative ha invece un valore assoluto. E’ sempre più chiaro che la distinzione tra sindaco ed amico, vero o presunto, è saltata. E ci sono le prove. Chat private ora brandite come un’arma. Telefonate assolutamente private invocate come prova della correttezza del proprio agire. Ne aggiungo due personalissime: la cittadinanza onoraria e l’invito al matrimonio del presidente. La prima è stata una forzatura. E’ una forzatura in generale. Non si può seguire la strada intrapresa, sempre e comunque, Antonini o non Antonini, perché si finisce per svilire un istituto, quello della cittadinanza, che dovrebbe essere maneggiato con cura e rispetto. Nota a margine: è in arrivo una nuova cittadinanza onoraria. Questa post mortem per Mauro Rostagno. Non si può fare politica così. Non si può ridurre tutto a propaganda. E veniamo al matrimonio. Tutto possibile, tutto legittimo. Ma un sindaco – in questo caso un sindaco, perché Tranchida è sindaco, ma vale anche per altre cariche istituzionali – deve muoversi con cautela, in particolare quando sa che una sua scelta, una sua iniziativa non si ferma alla sfera privata perché quando vieni eletto la fascia tricolore te la porti anche a letto quando dormi. Sai bene che la tua presenza può essere facilmente strumentalizzata, così come una tua assenza. Devi dunque dimostrare equilibrio. E l’equilibrio dovrebbe farti riflettere. Chiusa la nota a margine. Sono dunque tutte variabili importanti ma non decisive quelle che si stanno mostrando in questi giorni, in queste ore. Spesso fuori protocollo: ricostruzioni parziali di un tavolo tecnico che se è davvero tecnico dovrebbe essere gestito anche mediaticamente dai tecnici; appelli ad una città che fa finta di schierarsi ma è lì in posizione d’attesa per verificare chi vincerà e si sta, nel frattempo allenando, per il salto sul carro del vincitore; rappresentazioni di una città in rivolta che in rivolta non è, perché fa caldo, perché è la settimana di Ferragosto… Ed allora? Allora le istituzioni non si piegano a logiche non privatistiche – sarebbe già un passo avanti – ma addirittura amicali, perché di questo si tratta. E come si sa, gli amici a volte litigano. Il problema è che qui stanno litigando sul futuro di un’intera collettività. Chi fa impresa non può pensare di farla in un’ottima padronale e di conquista continua di spazi di potere. Non può, tra l’altro, rivendicare investimenti che ha scelto di fare liberamente ed autonomamente, a meno che non dice che, al contrario, sono stati frutto di promesse e di accordi non conosciuti alla pubblica opinione. Allora, anche le carte, oltre alle chiacchiere, stanno a zero. Il caso è uno ed uno solo: le istituzioni sono una cosa seria. E per alleggerire: “Cònzala comu vo’ ca sempri cucuzza è”.
V.M.
(Firmo, così tranquillizzo un lettore che non sa e che non ha capito ancora che i pezzi non firmati fanno riferimento al direttore)