STRAGE DI VIA D’AMELIO, UNA RIFLESSIONE SULLE “PROCESSIONI”

19 Luglio 2020

La retorica e la propaganda fanno parte della vita sociale e politica. Spesso vengono condannate perché considerate nei loro contenuti negativi. Ma non è così. Non sempre è così. Seguendo le note, i post sui social media, le dichiarazioni, emerge forte la considerazione che oggi siano in azione nella loro accezione più negativa. Mi riferisco alle commemorazioni, più o meno ufficiali, della Strage di Via D’Amelio, che il 19 luglio del 1992 portò alla morte del magistrato Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta. Borsellino è un simbolo di questo Paese e come tutti i simboli deve anche nutrirsi di retorica e propaganda, quella buona, quella positiva. Retorica e propaganda possono essere leve fondamentali per aprire poi la strada alla consapevolezza, al ragionamento. Creano emozioni e l’uomo è fatto di emozioni. Possono dare una mano a costruire una vera coscienza civile. Che va poi definita con tanto altro, con la storia, con la conoscenza. Possono dunque essere una chiave. Non una chiave di lettura ma una scintilla. Retorica e propaganda hanno però da tempo indebolito la loro carica positiva per lasciare spazio agli aspetti negativi delle loro dinamiche. Ed ecco un profluvio di prese di posizione, di racconti. Una corsa ad essere più antimafioso di chi ti sta accanto, salvo poi verificare che finito il giorno della commemorazione – inondato delle frasi “storiche” della vittima di turno – va in scena nella rappresentazione della nostra vita tutto il contrario di quel che si è detto e ricordato appena 24 ore prima. Ma questa è storia vecchia. E vale per ogni morto eccellente di mafia. La sensazione, sempre più sgradevole e mi auguro sbagliata, è però un’altra. La retorica e la propaganda – quelle vere e buone – non santificano. Ed invece questo, come il 23 maggio, sono giorni di santificazione. Ed il santo, com’è tradizione, si porta in processione. Dalle nostre parti siamo specialisti in processione. Ma è comunque una capacità di rilievo nazionale. Ed allora c’è il santo da portare in processione. Ed è quello che sta avvenendo in questo ore. Ma la processione non è una sola. Sono tante. Alcune, visti gli organizzatori, obiettivamente, per rimanere in un canone religioso, oltremodo blasfeme. Perché ognuno di noi ha una storia che può anche nascondere ma che si porterà dietro fin che campa. E la storia non si discute. Si rispetta. Bisognerebbe anche conoscerla, così qualche processione in atto non avrebbe l’autorizzazione sociale per poter essere svolta. Ma si sa la storia non è una materia che piace a tanti. Non la processione, dunque. Ma tante processioni. E’ la sensazione sgradevole che vivo personalmente – anticipo, e chi se ne frega! – e che mi porta ad una immagine. Al santo Borsellino – perché oggi tocca a lui nella corsa sfrenata alla retorica ed alla propaganda che fa male – che viene portato in processione. Ma siccome le processioni sono tante ed il santo è uno solo, finisce per essere strattonato, per seguire strade diverse, spesso incompatibili fra loro. Un santo che ognuno porta dove vuole. Processioni – in buona parte – che non sono ricordo, devozione, cultura, tradizione, impegno, coscienza, ma soltanto doppiezza, appropriazione indebita di pensiero altrui, strumentalizzato ad arte per portare a casa un risultato, che sia politico, sociale, di consenso. Processioni pericolose perché è difficile controllare la qualità dei “fedeli”, processioni che finiscono per azzerare le differenze che invece ci sono e sono evidenti, in particolar modo quando si parla di mafia. La storia s’insegna nelle scuole, forse male, ma c’è. Io aggiungerei anche retorica e propaganda. Per conoscerle come è giusto che sia. Il risultato sarebbe importante. Tante processioni che si stanno svolgendo in queste ore non avrebbero più spazio. E la nostra società sarebbe più vera. A proposito, su questo sito non troverete alcun commento, alcuna dichiarazione, nessun resoconto di manifestazioni e iniziative. E’ il mio atto di disobbedienza. Preferisco riflettere.

Vito Manca

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