Nicola De Caro era così, prendere o lasciare. Non c’erano mezzi termini con lui. La polemica gli dava linfa, forza, coraggio. Ma il sorriso, la pacca sulla spalla, erano lì a mediare, a ricucire lo strappo di un istante prima. Nicola De Caro era così, prendere o lasciare. La politica, per lui, era arte, ed ha provato ad essere un artista di primo livello. In parte c’è riuscito. Conosceva le sue regole e le osservava scrupolosamente ed era sempre più in difficoltà di fronte ad una politica che non ha più un’identità e che si sta riducendo sempre più in un post su Facebook. Nicola ragionava, parlava di politica. Oggi si grida e si sta lontano mille miglia dall’approfondimento. Negli ultimi tempi le nostre conversazioni, lunghe, articolate, erano telefoniche, sicuramente per le sue condizioni di salute. “Pronto Vito, Nicola sono…”, ed era un ping pong di domande, di valutazioni, di critiche. Le sue parole erano spesso polemiche ma soprattutto espressione di uno smarrimento progressivo. Socialista, uomo di sinistra, autenticamente laico, si preoccupava di quello che era non il suo partito ma una sorta di ancora di salvezza rispetto al nulla della politica attuale, il Pd. Ma anche sui Dem aveva i suoi legittimi dubbi. Nell’era della Seconda e Terza e forse Quarta Repubblica avrebbe voluto avere un ruolo di governo. Voleva fare l’assessore, ma strada facendo s’era reso conto che anche questa carica rischiava di essere travolta dall’inconsistenza della politica cittadina. Nicola gridava, sì, spesso per i suoi interlocutori era esagerato. Ma le sue erano denunce. Amava profondamente la sua città. Il centro storico era la sua vita. Trapani in questo fine agosto, vociante nella città vecchia per i tanti turisti che l’hanno scelta, potrà rimanere in silenzio, almeno per un secondo. Sentirà la voce squillante di un suo figlio vero.
Vito Manca