Questo pomeriggio c’erano i “ragazzi di Borgo” ai funerali di Salvatore Pagano. Uno di loro, non c’era più e senza alcuna intesa, senza alcun passaparola, si sono radunati perché volevano salutarlo per l’ultima volta. L’hanno fatto con semplicità, con mestizia e con nostalgia, alcuni dicendosi: “semu fatti vecchi”. Tra i “ragazzi” c’era Mario Gallo che ha voluto riavvolgere il nastro della memoria per raccontare una storia speciale. Un’occasione in più per salutare un amico, per dire idealmente, ciao Turiddu.
Toccante la rievocazione fatta da Vito Manca. Vorrei aggiungere la mia affettuosa testimonianza a nome della simbolica rappresentanza (di quelli che nel dopoguerra furono i giovani repubblicani di Borgo Annunziata), presente e partecipe ai funerali celebrati oggi nel Santuario della Madonna di Trapani. Finita la rovinosa dissennata guerra fascista, tornavano in circolazione il pensiero e l’azione dei grandi italiani che avevano dato vita alla luminosa epopea risorgimentale. I primi comizi, tanta esultanza Repubblica, libertà, uguaglianza; ci incantiamo alla lettura degli striscioni bianchi rossi verdi affissi al Passo dei Ladri a Borgo Annunziata: “La Repubblica è una casa di vetro. – Capitale e lavoro nelle stesse mani. -Il popolo è sovrano, giustizia e libertà. – Libera Chiesa in libero Stato. – Dio e Popolo – La Repubblica Romana: Garibaldi, Mazzini, Mameli. Mameli, il più vicino all’immaginazione di noi giovani: il nostro eroe caduto a soli 22 anni durante la difesa della Repubblica Romana, autore di quell’inno che ci faceva battere forte in petto il cuore quando ancora non era stato adottato a inno ufficiale della Repubblica Italiana, da canticchiare incerti alle partite internazionali di calcio. I lucciconi agli occhi, il cuore batte forte e canti “Fratelli d’Italia…siam pronti alla morte”; lucciconi e batticuore che si presentano tuttora puntualmente tutte le volte che ne sento le prime inequivocabili battute. A Borgo, per iniziativa di vecchi mazziniani antifascisti come Giuseppe Di Giorgio e il maestro Saverio Minucci e di giovani come Nenè Schifano e Vincenzo Rizzo, era stata creata una Sezione del rinato Partito Repubblicano, sistemata in via Marconi: due stanze molto piccole, due tavoli sgangherati, qualche sedia; non ci sono capi, fra loro si chiamano amici. Da lontano, dalla via Palermo, si vede brillare qualcosa come un lumino in mezzo al mare, una luce amica: avvicinandoti scorgi una luminosa foglia d’edera, un faro che indica un percorso: il nostro. Nel suo ambito nasceva il Circolo Giovanile Goffredo Mameli, dove ci ritroviamo molti giovani: c’è la fascia che si aggira sui 18 anni, e c’è anche un discreto gruppo di pulcini al seguito; ne ricordo alcuni: Alberto Sinatra, Pino Carlino, Pietro Miceli, Franco Manca, Gino Vultaggio, Paolo Poma, Salvatore Messina, Peppe Spezia, Rino Maranzano e…lupus in fabula: Salvatore Pagano. I soliti cosiddetti ben pensanti ci chiamavano, in tono non necessariamente irridente: “quattru picciotti”: divenne il nostro distintivo d’onore, prendemmo ad assaporare il gusto dell’essere minoranza sì ma pulita, non disponibile a compromessi quando erano in gioco gli ideali, quelli sentiti e praticati. Dopo l’avvento della Repubblica, ci trasferimmo nei più ampi locali di Via Conte Agostino Pepoli negli immediati pressi del Santuario della Madonna: per molti di noi divenne la seconda casa. Qui si discettava di politica, ma allo stesso tempo si parlava di quelle ragazze che incrociavano le nostre occhiate assassine durante le passeggiate serali in Via Palermo e in Via Pepoli; si giocava a carte e poi si dibattevano appassionatamente temi come la preferenza da dare al tricolore o al drappo rosso con l’edera per rappresentare il PRI nel solco della tradizione repubblicana, si partecipava con ardore alle campagne elettorali, mentre fuori dal circolo si preparava la colla (la farina ce la procurava Peppe Marrone) per attaccare di notte i manifesti sui muri delle case del Borgo maldestramente e col rischio di essere scambiati per ladri. Eravamo un gruppo di avanguardia, autodidatta della politica, che esprimeva laiche posizioni di libertà ed apertura, una presenza sicuramente anomala nelle acque stagnanti della palude conformista, paramafiosa o, nel migliore dei casi, ignava ed agnostica del chi te lo fa fare, stabilmente piazzata in questo lembo di periferia cittadina. Per le strade di Borgo, monellacci forse prezzolati si illudevano di umiliarci gridandosi in facci…a pampina siccau! e noi? Niente ci fa, più buia è la notte, più vicina è l’alba; si volta pagina e si ricomincia, come nella vita di tutti i giorni. Eravamo un gruppo, uno stile e una scuola che per molti di noi è stato terreno di formazione umana e civile, un patrimonio prezioso cui attingere a piene mani negli anni avvenire, una struggente sequenza di immagini indelebili, che ci rende orgogliosi – e Salvatore con noi- di poter dichiarare: nel gruppo dei “quattro picciotti” io c’ero! Parlare di loro, di questa giovanile consociazione che rimane il patrimonio spirituale più prezioso della nostra vita, è stato oggi – in questa toccante giornata della memoria e degli affetti- il mio modo di esprimere l’affetto e la stima che ci legano. Percorrendo il lungo viale del tramonto, ci capiterà di fermarci un attimo e voltarci indietro: aguzzando la vista indebolita dagli anni, lontano, laggiù, ci sembrerà di scorgere un puntino luminoso: no, non è effetto di senile allucinazione: è la luminosa verde foglia d’edera dei nostri anni verdi!
Mario Gallo