TRAPANI, L’INFIORATA E’ UNA QUESTIONE DI DEFICIT

18 Ottobre 2021

L’infiorata della Scalinata di San Domenico? E’ un problema di deficit. Culturale. Chi amministra ha il dovere istituzionale di rispettare la laicità del suo mandato e della stessa istituzione che è stato chiamato a governare. Le sue idee rimangono sue. E non possono condizionarlo nelle scelte che rimandano alle prerogative dell’istituzione. Non ci si può nascondere dietro la libertà di espressione. L’intera infiorata, diciamolo fino in fondo, è un manifesto politico-ideologico. Afferma dei principi legittimi ma di parte. Quando si presenta un manifesto ideologico a forma di fiori non si deve, per onestà intellettuale, chiedere il patrocinio del Comune. E se comunque lo si ritiene opportuno deve essere il Comune a rifiutarlo. Nel momento in cui viene concesso il Comune aderisce all’iniziativa, la fa, in qualche modo, sua. Qui si apre una maglia grande come una casa. Perché dovrebbe essere messa in discussione la “pratica” del patrocinio che viene utilizzato male, fuori dai canoni e qualche volta come occasione per poter dare qualche contributo. Per entrare nel merito della vicenda è forse arrivato il momento di uscire dall’ipocrisia. Qualcuno dimentica che il sindaco di Trapani è fortemente e volutamente cattolico. Ed in questo caso – non è l’unico e non sarà l’unico -, è un cattolico che non riesce a liberarsi dalla sua adesione a quello che è un progetto di vita, relazionale. La cultura cattolica ci avvolge fin dalla nascita. C’è chi riesce a seguire altri percorsi, chi prova a mediare e chi invece ne rimane legato e collegato. E finisce per condizionare anche il suo agire istituzionale. Quando il sindaco, in una delle sue repliche, fa riferimento a “spunti di riflessione sugli eccessi contemporanei di una legge che condivido”, tocca il punto fondamentale. Va in contraddizione. Perché apre al manifesto ideologico in forma di fiore e nello stesso tempo afferma di rispettare la legge. Tutto questo perché esprime una visione clericale. Si tratta di clericalismo allo stato puro. E non si dica che nella sua ormai trentennale esperienza politica non l’abbia dimostrato ampiamente. In tanti che oggi protestano e criticano dovrebbero fare un po’ di autocritica, perché in questo caso Tranchida, come in altri, ha mostrato coerenza con il suo credo politico-religioso o religioso-politico. Il suo deficit culturale sta nella incapacità di segnare una separazione netta tra la sua funzione istituzionale ed il suo essere coerentemente cattolico. Per lui, come per tanti, Libero Stato in Libera Chiesa è un principio che non riesce a coltivare. La reazione del primo cittadino: se non ho rispettato la legge denunciatemi, aggancia un’altra espressione culturale che segna un altro deficit. Quello dell’interpretazione formale dell’essenza della laicità di una istituzione che si aggiunge ad una forma di giustizialismo classica di una parte della sinistra rimasta ancorata ad un passato che, nei fatti, non passa. La storia ci porta al catto-comunismo. La sintesi di due culture che hanno un punto in comune, di non essere liberali, di non condividere i principi della liberaldemocrazia. Il caso infiorata visto con queste lenti diventa quanto mai chiaro. Ed è da considerare assolutamente genuina ed onesta la reazione di Tranchida che è portatore di un deficit culturale che condivide con tanta altra gente. Certo è anche pur vero che chi ha costruito i suoi indiscutibili successi elettorali sul voto cattolico non possa rimanere indifferente rispetto alla richiesta di patrocinio che è arrivata sul suo tavolo. E’ invece sicuramente più intrigante il dato politico che la vicenda ha finito per sprigionare. Le note sindacali, quella della Cgil stringata ed in qualche modo “imbarazzata”, quella della Uil più aperta e critica, lasciano intendere che si è aperta una “crisi” politica, che l’area progressista, non condizionata dal credo cattolico, è in fibrillazione e chiede e vuole spiegazioni. Avrebbe gradito una marcia indietro del sindaco che non è invece arrivata. Ha preso corpo un dibattito interessante, che va coltivato, senza alzare i toni, senza muri. Quel che non è consentito, almeno politicamente, è il silenzio. Basterebbe immaginare cosa sarebbe accaduto se i partiti fossero ancora tali e non qualcosa di simile a comitati elettorali da azionare al momento opportuno. Tranchida, qualche anno fa, si sarebbe già ritrovato con una giunta dimezzata perché sarebbero state presentate le dimissioni da parte degli assessori portatori di una visione laica della politica. Anch’io voglio uscire dai giochi di parole e dall’ipocrisia indicata in precedenza. Gli assessori del Pd sono d’accordo con la linea del sindaco? Il Pd di Trapani è pronto a sostenere la linea del primo cittadino? Il silenzio non paga. L’idea di far passare la buriana perché tanto le polemiche sui social così come nascono muoiono rischia di essere un errore fatale. Perché c’è una variabile indipendente che si chiama memoria e qualcuno quel che sta accadendo in queste ore potrebbe ricordarlo quando sarà nel suo seggio elettorale. Meditate, democratiche e democratici. Tra l’altro dire di non essere d’accordo con il sindaco non è lesa maestà, è soltanto espressione di un dissenso, democraticamente espresso. Perché, a conti fatti, è sempre una questione di deficit. 

V.M.

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