PETRONI E PELLINO, ASCOLTATE BENE…”NOI SIAMO IL TRAPANI CALCIO!”

4 Ottobre 2020

Ore 18,15. E’ finita. Si chiude un capitolo. Non certo una storia. Il Trapani Calcio è una comunità e una parte importante di un territorio. Le comunità non muoiono. Possono cadere e poi rialzarsi. Cadere ancora, rialzarsi comunque. Ecco perché è sbagliato dire “risorgeremo”. Meglio, torneremo. Perché il Trapani Calcio ci sarà lo stesso anche se non scenderà in campo. Il Trapani Calcio ci sarà lo stesso perché fa parte dell’anima di questa città. Ci sarà sempre perché un padre ottantenne come il mio, in questi giorni convulsi, mi chiedeva notizie, con parole preoccupate, con occhi un po’ smarriti e con un flash che va dritto al cuore. “Peccato – mi ha detto – io, leggendo e sentendo cosa si dice in questi giorni, sono andato indietro nel tempo, quando giovanissimo, andavo al Campo Aula, a tifare, a “tremare” la rete di protezione per dare forza alla squadra, quante battaglie, quante partite. Perché tutto questo?”. E mentre parlava, come un filo rosso, ho ricordato anch’io. Trapani-Siracusa, ultimi minuti di gioco, calcio d’angolo dalla destra, palla in area di rigore e Sisto Vitiello che spicca il volo, come se avesse le ali, colpisce di fronte piena e mette la palla in rete. Ecco questa una comunità, questa è una storia, che passa di padre in figlio, in tante case, in tante famiglie, che oggi sono tristi, mortificate, guardando quel campo di Catanzaro vuoto, senza la loro squadra. Ma questo è e con questa vicenda è necessario confrontarsi. 18,15. C’è da chiedersi che faccia ci ha messo in questo momento il signor Gianluca Pellino, come ha precisato lui, “proprietario della Trapani Calcio srl”. Quale faccia? Anzi, quale tipo di faccia? Da approfondire un dato: ce l’ha ancora una faccia? Anzi, ce l’ha mai avuta una faccia? L’unico dato certo, in questa fase, è che la faccia l’ha fatta perdere ad un’intera città. Da quando ha messo piede a Trapani ha soltanto fatto danni, per incapacità, per superficialità, per ignoranza di norme, di regole. Ha pensato di gestire una società di calcio come una bancarella – con tutto il rispetto per le bancarelle – da mostrare in una fiera di paese. Questa vicenda chiaramente non finisce qui. Il Trapani Calcio si avvia al fallimento e di conseguenza sarà – lo prevede la legge – interessante verificare l’esito dei controlli che dovranno essere fatti, sugli atti, sui contratti su tutto quello che ha fatto Pellino, ma soprattutto sulla gestione non vecchia ma precedente, perché è bene dirlo con forza tra Petroni e Pellino c’è stata continuità amministrativa. Ancora meglio, le carte importanti le ha giocate sempre Petroni e Pellino – da proprietario – ha giocato soltanto le scartine. Del resto, la sua era una missione impossibile, perché di fronte all’enormità dei problemi che c’erano – causati da Petroni – ha fatto un ulteriore errore.  Quello di utilizzare collaboratori “trapanesi” – c’è da scriverlo con le virgolette perché questi tre o quattro ascari di trapanese hanno soltanto la carta d’identit – che si sono impegnati non poco ad affossare il Trapani. Quando si scriverà la storia di queste settimane, sarà bene fare nomi e cognomi per consentire alla città di prevedere la misura sportiva, ma in questo caso sociale del Daspo. Il capitolo che andrà scritto finirà per constatare che Petroni-Pellino sono rimasti vittime del loro stesso azzardo. Hanno pensato fino all’ultimo istante utile che i trapanesi finissero per cadere nella trappola del cuore mettendo la ragione in archivio, pur di salvare una situazione insanabile. Una società piena di debiti. Una società che ha dilapidato il suo patrimonio, i calciatori che potevano essere messi sul mercato, con un esito finale che andrà sicuramente approfondito, su cui sarà utile confrontarsi. Perché qualcuno dovrà spiegare perché di fronte ad offerte importanti la proprietà, in questo caso, quella precedente a Pellino, ha detto no. Era soltanto una manovra per alzare il prezzo? E quando è crollato tutto perché in extremis non s’è tentato di prendere quel che si poteva per fare comunque un po’ di cassa? Chissà perché! Ci sarà sicuramente una logica. Quale? La città, la sua tifoseria, si sentono parte lesa e quando c’è una parte lesa significa che c’è una esigenza di giustizia. Sicuramente di chiarezza. Si faccia dunque chiarezza fino in fondo in questo capitolo della storia del Trapani Calcio. C’è un altro elemento che va seguito e sostenuto. Rimanda alle dichiarazioni dell’avvocato Lillo Castelli, portavoce del Comitato “C’è chi il Trapani lo ama”: “Ritengo che l’esperienza del Comitato vada valorizzata. Che la sua esperienza non vada dispersa”. Ed ha ragione da vendere. Perché pur tra qualche inutile sfottò via Facebook, dei soliti “imbecilli” da tastiera, pronti a criticare senza sapere e soprattutto senza avere la minima cognizione di quel che è accaduto, il Comitato ha dimostrato, nei fatti, che questa città ha ancora una “testa”. Che può unirsi davvero andando oltre le dichiarazioni d’intenti. Perché deve essere chiaro a tutti. Il Comitato è stato ed è una cosa seria. Gli imprenditori c’erano ed avrebbero fatto la loro parte fino in fondo. Ma hanno dovuto confrontarsi con due giocatori di poker che non soltanto bluffavano ad ogni mano delle giocate ma spesso utilizzavano anche un mazzo truccato.

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