LA STORIA DELL’EX SINDACO DI CAMPOBELLO DI MAZARA CIRO CARAVA’. DALLE ACCUSE DI MAFIA ALL’ASSOLUZIONE IN CASSAZIONE

7 Aprile 2016

Il 27 luglio del 2012 il Comune di Campobello di Mazara veniva sciolto per mafia. Conseguenza dell’operazione “Campus Belli”, che aveva portato all’arresto, tra gli altri, del sindaco Ciro Caravà. Il primo cittadino era finito in manette il 16 dicembre del 2011. L’accusa era pesantissima. Caravà uomo di Cosa Nostra perché in piena sintonia con il boss della zona Leonardo Bonafede. Caravà, sindaco antimafia, sempre pronto a sostenere battaglie ed iniziative antimafia veniva considerato vicino all’organizzazione di Cosa Nostra, cosca, quella campobellese, a stretto contatto con il superlatitante Matteo Messina Denaro. Caravà eletto per la seconda volta – la prima nel 2006 – ed esponente in carriera del centrosinistra. Al suo fianco “Democrazia e Libertà”, il suo movimento, tenuto in corsa anche dopo la fine del progetto politico dell’ex segretario nazionale della Cisl Sergio D’Antoni, il Partito Democratico, con tutti i big pronti a sostenerlo, ed il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo. Contro, al ballottaggio, il candidato sindaco dell’area di centrodestra Daniele Mangiaracina. Il rieletto sindaco era stato un esponente del Pci e poi di Forza Italia. Nel 2011 rappresentava l’area moderata e centrista che puntava sul centrosinistra. L’arresto mise in ginocchio il paese e l’amministrazione. Lo scioglimento per mafia fece il resto. Soltanto nel 2014 il Comune è tornato ad avere un sindaco con l’elezione di Giuseppe Castiglione. Caravà, nel processo di primo grado al tribunale di Marsala (6 febbraio 2014) venne assolto dall’accusa di concorso in associazione mafiosa. La Corte d’Appello di Palermo, il 15 luglio del 2015 lo condannò alla pena di 9 anni di carcere, sempre con la stessa accusa. La Corte di Cassazione l’ha ora assolto dall’accusa di essere legato a Cosa Nostra. Sottoposto alla richiesta di misure di prevenzione dovrà attendere nuovi accertamenti. L’assoluzione dall’accusa di mafia rimanda allo scioglimento del Comune ed invita ad un ripensamento critico di quella decisione che privò la comunità campobellese della sua classe dirigente amministrativa.

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